sabato 10 dicembre 2011

tragedia in poesia

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* Nel dicembre del 1974, mia madre, in un terribile incidente domestico riportò gravissime ustioni in oltre il 65 % del corpo. Solo quando ritornò a casa (e noi con lei dopo l'inevitabile posteggio dalle suore), nove mesi dopo, quell'abbozzo di presepe (il muschio come fieno secco, ormai) fu, da noi giovanissimi figli, smantellato.


**Altro nome del "Panevin": antico falò rituale e propiziatorio che arde la notte dell'Epifania nelle campagne venete.



Mus.cio. Fògo

Parché ière 'ndat a mus.cio
anca chea volta là. Te ricòrditu?

Daa bròsa dei fossi son passà
al fredho de 'na casa co'na stua
stuàdha. Tì in lèt, de sora, maeàdha
de chel mal che l'é anca se no'
se 'o vede. Ciamarte, 'lora
parché noàntri bòce no' se vea
nianca da 'vizhinàrse al fògo.

E tì, zo pa'e scae co'a bozhéta
de l'àlcol... e noàntri a cavàr
fòra 'l mus.cio daa spòrta,
a suminzhiàr a distiràrlo...
e tì zà 'na casèra
** che coréa
paa saea, che zhighéa aiuto...

Parché, da chea volta, co' vede
mus.cio 'l me par 'na erba che brusa,
e 'torna qua chee lengue rosse,
'torna 'a paura. 'Torna un presepio

mèdho fat su, e desmentegà, par mesi
sora 'a cardenzha; 'na assenza
che 'ncora 'a dura, che da 'lora
me 'à fat deventàr chea statuéta
(che 'a par squasi un soevatór de pesi),
quea co' i brazhi alti, 'l pal, 'e sece

colme de 'na aqua de plastica, ferma, dura.


Muschio. Fiamme

Perché ero andato a cogliere muschio / anche quella volta, ricordi? // Dalla brina dei fossi passai / al gelo di una casa con una stufa / spenta. Tu costretta a letto, di sopra, per una delle / tue consuete crisi / depressive. Chiamarti, allora / perché i bambini non ci si / devono neppure avvicinare al fuoco. // E tu, lungo le scale con la boccetta / dell'alcool... e noi a togliere / il muschio dal sacchetto, ad approntare il tappeto... / e tu già una vampa viva che correva / per la sala, che urlava aiuto... // Perché, da allora, quando rivedo / il muschio mi sembra un'erba che arde, / e ritornano quelle fiamme, / ritorna l'orrore. Ritorna un presepe // appena abbozzato, e dimenticato, per mesi / sopra la credenza; un'assenza / che ancora perdura, che, da allora, / mi ha fatto prendere le sembianze di quella statuina, / (quella che pare quasi un sollevatore di pesi), / con le braccia alte a sostenere il bastone, gli orci ai lati // colmi di un'acqua immobile, di plastica, dura.


Fabio Franzin poeta

nato a Motta di Livenza


6 commenti:

  1. Un poeta corraggioso... è riuscito a scrivere una poesia da una tragedia ... che triste storia.
    Sue.

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  2. Io direi "scominziar", ma per il resto è una poesia molto particolare.

    Un abbraccio e buona serata!

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  3. @ Kylie

    sicuramente era scuminziar, c'è un errore di battuta e anche una piccola differenza da provincia a provincia. Baci

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  4. Il dialetto è facile nel parlare, ma leggerlo...un pò più difficile...però la poesia è molto bella...
    Cinzia

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  5. Credo che la vicenda vissuta abbia lasciato tracce profonde nel poeta; immagino il suo stato d'animo quando si accosta al presepe...molto struggenti quei versi

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