mercoledì 17 settembre 2008

La nostra costituzione è buona





I detenuti della cooperativa Giotto al lavoro nel carcere Due Palazzi di Padova.­ una delle esperienze più significative in Italia


Detenuti e lavoro: poche occasioni per il riscatto sociale


DA MILANO NICOLETTA MARTINELLI
Non è questione di buon cuore, è un obbligo di legge: far lavorare i carcerati è un dovere dello Stato. Come pure, lo stabilisce l’articolo 27 della Costituzione, è recuperarli al mondo, riappacificarli con la società e con le regole che hanno infranto: la pena dovrebbe essere certa tanto quanto il recupero. Invece entrambe sono afflitte da incertezza cronica. La norma che regola il lavoro penitenziario – fa parte della legge 354 del 1975 – è tra le più disattese e i detenuti lavoratori sono una percentuale minima, un po’ più di 13 mila su un totale di oltre 55 mila. Perchè l’amministrazione carceraria non ha mezzi sufficienti per garantire quel lavoro­che non ha carattere afflittivo ed è remunerato ­ di cui parla la legge, perchè gli imprenditori privati sono scoraggiati dalle lungaggini burocratiche e dalle attese estenuanti. Ci vogliono lungimiranza e ostinazione per investire il proprio tempo e il proprio denaro nel carcere e con i carcerati: solo 932 detenuti sono impiegati da aziende private, regolarmente stipendiati, contribuenti del fisco, risorse per la famiglia. Pasticcieri, torrefattori, sarte, agricoltori... Qualcuno ha investito su di loro, umanamente e imprenditorialmente, e la fiducia è stata ampiamente ripagata. Un circolo virtuoso è la filiera della sicurezza, si potrebbe definire – perchè in prigione non ci torna chi ha riacquistato la dignità garantita dal faticare onestamente, la sicurezza di uno stipendio su cui contare, la possibilità di proporsi in maniera credibile al mercato del lavoro una volta scontata la pena: la recidiva è abbattuta drasticamente, solo una su cento di queste persone riprende a delinquere e rivede i muri della cella. E l’investimento di pochi si trasforma in più sicurezza per tutti.
Ma allora perchè tra gli ospiti delle carceri italiane lavora produttivamente poco più dell’uno per cento, impiegato da imprenditori che in maniera sussidiaria applicano l’articolo 27 della Costituzione? Gli oltre tredicimila che invece risultano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria lavorano a rotazione, in maniera saltuaria – poche settimane, talvolta pochi giorni all’anno – per lo più impegnati in occupazioni domestiche:­Quando è il loro turno, si ritrovano con una scopa in mano per dare una ripulita, un mestolo per servire in mensa. Che facciano bene o facciano male, che si impegnino oppure no sanno che verranno retribuiti. Più che uno stipendio, è un sussidio. Ma questa – spiega Nicola Boscoletto, fondatore e presidente del consorzio cooperative sociali Rebus che a Padova, nel carcere Due Palazzi, dà lavoro a un centinaio di carcerati –è un’operazione diseducativa. Nel segno dell’assistenzialismo­.
La mancanza di fondi è un alibi ormai logoro: il denaro viene mal speso, investito in progetti fallimentari, sperperato per strutture mai aperte.­Questi soldi – continua Boscoletto – invece di produrre sicurezza e recupero producono più insicurezza per i cittadini. Serve un atto reale di responsabilità da parte di chi governa, un’alleanza di tutto l’arco costituzionale ­. Per riconoscere e incentivare i progetti reali di recupero, per ridare alla pena il suo valore originale, per garantire più sicurezza sociale e risparmio economico: ­Coinvolgendo imprese profit e non profit si ricompone il tessuto sociale della società civile. Abbiamo fatto un appello all’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà (un tavolo di discussione bipartisan, composto da più di trecento parlamentari sia dell’opposizione che della maggioranza,
ndr) perchè dia priorità al problema del carcere­, spiega Boscoletto.
Un detenuto costa alla comunità almeno 120 mila euro l’anno per coprire le spese del processo, pagare gli stipendi degli agenti di custodia, degli educatori, dei magistrati di sorveglianza... Denaro speso spesso senza un progetto serio di reinserimento sociale del condannato, mancando il quale la prigionia si tramuta in tirocinio di delinquenza, laboratorio di violenza e malaffare: solo rabbia, dolore, abbrutimento. Il rischio che esperienze imprenditoriali serie – sul mercato con prodotti realizzati in carcere ma secondo standard di eccellenza – finiscano per rimanere mosche bianche: indicate ad esempio, ma voci isolate e senza imitatori.
Tra coloro che lavorano per imprese private e cooperative la reiterazione del reato molto bassa: solo uno su cento torna a delinquere Ma queste esperienze sono ancora mosche bianche

Art. 27 della Costituzione:

" Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

8 commenti:

  1. Mi pare una buona iniziativa,in Piemonte si sono già attivati in tal senso : I detenuti del carcere di Novara hanno fatto opera di pulizia in una località del lago Maggiore.
    Vieni da me,c'è un premio per te.v

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  2. Una iniziativa importante. Dare a chi la desidera veramente la possibilità di una seconda chance.

    Non solo perchè lo sancisce la Costituzione ma anche perchè è giusto che chi davvero vuole cominciare a vivere in serenità e nel rispetto della legge una vita dignitosa uscito dal carcere, possa riuscirci.

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  3. L'Italia, destra e sinistra, dovrebbe
    trovare una sintesi per i reciproci motti "ammazzateli tutti" - "sono buoni e innocenti come bambini".
    Il tuo post è in questa direzione: il lavoro è una risorsa utile che dovrebbe far riflettere i buonisti e i "cattivisti".
    Dario
    ITALY ITALIA - ITALIANO ITALIAN
    (Blog satira politica e sociale)

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  4. Ciao Daniele,
    1) non credi che se applicassero quello che prevede la Costituzione, tante cose funzionerebbero meglio nel nostro paese??
    2) è una questione di organizzazione e buona volontà o di fondi stanziati??
    Ti leggo sempre con piacere, ciao A.

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  5. E' vero: la condanna non deve essere una vendetta della società, ma deve portare alla rieducazione del detenuto.
    Però ci sono detenuti che non vogliono essere rieducati (leggi Sofri)!!!

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  6. Sergio, certo non tutti approfitteranno della nuova chance, ma recuperarne una buona parte vuol dire risolvere un grosso problema. Togliere braccia alla malavita non è poco...speriamo che questo esempio venga imitato da altre carceri. Non sarebbe male, per festeggiare in modo degno la Costituzione, dare una botta di ottimismo e speranza. Ne abbiamo tanto bisogno in questi tempi bui..ciao A.

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  7. Sul primo punto ti rispondi di sì ma vado oltre.

    Ci sono anche ottime leggi che se fossero rispettate alla lettera farebbero andar meglio tante cose in italia.

    Sul secondo punto è anche una questione di soldi.

    Siccome non li fabbricano più (Banca d'Italia ha come azionista di maggioranza Banca Intesa ed il signoraggio non è un'opinione...) la coperta è corta dato che se gettano i soldi per altre loro "iniziative" non ci sono per noi, per loro, per nessun'altra persona.

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