mercoledì 18 febbraio 2009

rispettare

il diritto all'anonimato delle vittime.
Già da un pò non guardo più i telegiornali per il modo
"spettacolare" che hanno di dare le notizie, in modo
particolare le notizie dei questo genere.

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Un modo vampiresco di servire le vittime
ANGELO ZEMA
« Caccia agli stupratori», «Caccia agli aggressori», e così via. I titoli si assomigliano, ma la «caccia» che si scatena, in casi come quello del brutale stupro della ragazzina a Roma, nel Parco della Caffarella, è anche un’altra, la «caccia alla vittima». Da parte dei giornalisti.
Deprecabile andazzo ormai comune a storie di cronaca dal sapore molto amaro, dove una persona – sempre di più le donne, ora anche adolescenti – è ferita nel corpo e nell’animo da un gesto di violenza crudele. E dopo la prima tremenda violazione, per la vittima arriva la seconda: il rischio che la propria identità venga svelata, che la propria vita – e quella della propria famiglia – venga ancora più sconvolta dalla rivelazione di particolari sulla propria personalità e la propria vita quotidiana. Inutili per chi legge un giornale o guarda la tv, estremamente dannosi per chi è oggetto di questo sopruso.
Accade anche questa volta, per la ragazzina romana violentata sabato scorso mentre era in compagnia del suo fidanzatino, picchiato dagli aggressori. Ecco che in molti resoconti si rivela la parrocchia, la professione dei genitori, la presenza di fratelli, il possesso di un cane, lo stile del palazzo in cui abita, perfino l’abitudine a uno scarso trucco, e soprattutto la scuola che frequenta. Con l’ipocrisia di ometterne il nome ma di scrivere quello della preside, da cui facilmente si può risalire all’istituto. E allora ecco i tg pronti all’uscita da scuola, sia pure con immagini dai contorni sfumati, per domande banali ai compagni.
Una sorta di gara – ben poco nobile – a chi aggiunge il maggior numero di particolari. Doveroso, e benvenuto, l’intervento del Garante per la privacy. Ma ormai il danno c’è.
A chi giova quest’informazione? A cosa giova? Davvero è possibile credere che questi dettagli si reputino necessari alla completezza della notizia? O piuttosto vanno in pagina nella gara a vendere qualche copia in più o a guadagnare un briciolo di audience? E se anche l’ottenessero – cosa cui non crediamo – c’è qualcosa di più importante e prezioso della dignità di una persona, sbattuta in pagina con la sua ferita?
No, non è questo ciò che cercano i lettori e i telespettatori: attendono il racconto dei fatti nel rispetto della verità, senza cedimenti al giornalismo da buco della serratura. Sanno bene che esistono carte deontologiche varate dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa. In particolare, la Carta di Treviso, approvata nel 1990 e aggiornata nel 2006, per la tutela dei minori.
Ricordando il «diritto del minore a una specifica e superiore tutela della sua integrità psico-fisica, affettiva e di vita di relazione», la Carta indica ad esempio – tra le norme «vincolanti» per gli operatori dell’informazione – la necessità di evitare «la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare» alla identificazione del minore coinvolto in fatti di cronaca. E non manca di prevedere sanzioni per i giornalisti che si rendessero responsabili di violare queste e le altre regole stabilite.
È facile constatare che, non solo per il caso della ragazzina romana, la Carta di Treviso è considerata da molti, nei fatti, carta... straccia. Purtroppo. Un sussulto di responsabilità sarebbe urgente. Se per Pessoa «non c’è impero che meriti che per esso venga rotta la bambola di un bambino», non c’è giornale o telegiornale che meriti che per esso venga doppiamente ferita la vittima di uno stupro o di un altro grave fatto di cronaca, soprattutto se si tratta di minore, già violato in modo indicibile.

4 commenti:

  1. Senza mai dimenticare che pèroprio la "paura" di finire sulla bocca di tutti è il maggior deterrente alla denuncia delle violenze per le donne. Di sicuro ieri ancor più di oggi.
    Ma i giornalisti, pur di apporre la propria firma sulla prima pagina di un giornale (o nei titoli di testa di un ragiogiornale o TG), sono disposti a tacitare la coscienza. Propria e dei collaboratori.
    E così le tragedie ci vengono leggermente servite come antipasto o dessert mentre la famiglia è a tavola...

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  2. Aliza,sono sempre più convinto che i giornalisti e i media in generale DEVONO fare così pena la perdita del posto di lavoro.
    Non penso che siano solo miei pensieri!
    Sbaglio?

    Ciao,buona serata...e come te sto lontano dai TG!

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  3. ... e bisogna spiegare ai propri figli ancora bambini che cosè lo stupro, perchè una mamma abbandona il proprio neonato in un cassonetto, perchè uno ha ucciso l'altro, perchè si pestano indiscriminatamente gli extracomunitari, ecc. ecc. E' vero che i bambini devono essere informati sui fatti della vita, ma lasciamo che siano loro stessi a chiedere e che ciò avvenga quando è il momento, lasciamo loro ancora un po' di innocenza. Ciao

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  4. Non capisco: da anni gli stupri e i tentati stupri denunciati in Italia sono circa 12 al giorno (7 all'anno ogni 100K abitanti) e non sembra che questo numero, per quanto raccapricciante, ultimamente sia aumentato.

    Perché da qualche mese a questa parte non si parla di altro? Come vengono scelti i 2 o 3 casi alla settimana da "sbattere in prima pagina"? Essere violentate da un italiano è meglio che essere violentate da stranieri?

    Ed infine, a chi giova tutta questa paura che viene generata dalle lacrime in TV?

    Ho sempre di più l'impressione che la paura sia il mezzo che i governi di destra utilizzano per indirizzare l'opinione pubblica. Per portare i cittadini in guerra, in Iraq una volta o contro i migranti un'altra.
    Quando si è in guerra, in fondo, si riesce a giustificare facilmente qualsiasi bassezza o cinismo, in nome di una superiore necessità.

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