lunedì 10 marzo 2014

il senso della vita



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Ma allora è anche possibile dedurre da questo racconto della Genesi qualcosa d’importante, forse sorprendente. Una volta fuori dall’Eden, possiamo ritrovare l’interezza, l’armonia, l’unità del paradiso perduto, abitando con l’amore-dolore i luoghi fondamentali dell’umano: «la sofferenza nelle gravidanze», «verso tuo marito ti spingerà la passione, ma egli vorrà dominare su di te» (3,16), «col sudore della faccia mangerai il pane», «finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto» (3,17-19). Dal primo Eden siamo "usciti" per sempre, ma l’Adam non è morto; Elohim gli ha dato una seconda chance: la storia.
E allora la vocazione dell’umanità non può più consistere in un tornare indietro verso quel primo Eden che non c’è più, ricercando magari una purezza e un’innocenza fuggendo dai luoghi più umani del dolore - la generazione dei figli, le relazioni tra pari, il lavoro, la morte. Possiamo cercare e ritrovare le armonie del primo giardino amando, con la buona intelligenza della vita, proprio i luoghi splendidi e dolorosi e dell’umano. Se così non fosse la storia sarebbe inganno, il mondo condanna. E invece la storia è cammino verso casa, dove ognuno porta con sé "in dote" il patrimonio di dolore-amore costruito lungo la strada. È questa la prima grande dignità dell’amore umano, delle famiglie, del lavoro, e anche del ritorno dell’Adam all’adamah.Un compito morale di ogni persona – e dell’umanità nel suo insieme – diventa allora cercare di ridurre il dolore nel mondo.

Ci possiamo salvare generando bambini (e facendoli diventare grandi), innamorandoci, rispettandoci nella reciprocità, lavorando, e reimparando in ogni generazione a morire - la nostra deve ancora farlo. Ci siamo salvati tutti i giorni con la fatica-amore dei travagli: quello dei figli, quello del lavoro, e l’ultimo grande travaglio. Sono queste le vie che abbiamo per poter intravvedere una nuova terra-giardino: nuove Eva e nuovi Adamo, alla brezza di ogni giorno.
                                                 
di LUIGINO BRUNI da Avvenire di oggi

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