L’artista in scena con lo spettacolo «Urge»
«Siamo stati ridotti a passivi spettatori voglio far capire che senza più cultura siamo tutti in coma»
Nel suo spettacolo, con un gioco di parole, parla dell’urgenza di fare 'voto di vastità'...
«Sì, nasce dal bisogno di non accontentarsi di quello che viene passato dai media, da certa stampa. Questo accontentarsi per me è immorale, anti-vitale. Come succede con certa televisione».
Si riferisce alla tv commerciale?
«Anche al servizio pubblico che le fa il verso. Veniamo da un quarto di secolo di una tv che ha tarato il gusto degli italiani in modo che oggi possano digerire ciò che ieri sarebbe stato indigeribile. La colpa è certo dei palinsestisti e dei pubblicitari, ma soprattutto dei conniventi: gli spettatori. Lo spettatore è uno che col telecomando può votare ogni dieci secondi. Ha votato molto male».
Ma voi artisti non avete nessuna responsabilità per questo degrado culturale?
«Nello spettacolo racconto anche questo. Non ha senso che un artista dica, per esempio: ma io non seguo certe robe in tv. Perché quelle robe orrende ormai seguono te. Sono sottopelle nella gente che viene a teatro a vederti, nei ragazzi che vanno a scuola. È come dire: io non fumo, quando tutti ti fumano attorno».
La cultura come ricetta? E i tagli?
«Allora, prima della cultura vengono ospedali, giustizia, carceri. Però è becero dire che con Dante non si mangia. Perché l’economia è anche una questione di arte. Una volta molti amministratori delegati di grandi società erano anche poeti e filosofi... Se vuoi fare un mestiere alto, devi essere alto. Così come in parlamento: oggi ci sono solo avvocati. Per questo alla politica manca vastità di visione. E si è fermi agli interessi particolari».
E del 150° dell’Unità d’Italia, cosa dice?
«Che l’Italia non s’è ancora desta. Con la scusa che non è facile attingere alla sovrumana sfera dell’anima, finiamo tutti con l’essere troppo spettatori. Invece dobbiamo diventare attori. Non si può più delegare, bisogna scendere e scioperare quotidianamente nella propria piazza interiore. Se giustamente mi imbestialisco se Tanzi mi porta via i risparmi di una vita, devo arrabbiarmi anche contro chi mi porta via i risparmi neuronali, l’anima e la vita».
«Siamo stati ridotti a passivi spettatori voglio far capire che senza più cultura siamo tutti in coma»
Nel suo spettacolo, con un gioco di parole, parla dell’urgenza di fare 'voto di vastità'...
«Sì, nasce dal bisogno di non accontentarsi di quello che viene passato dai media, da certa stampa. Questo accontentarsi per me è immorale, anti-vitale. Come succede con certa televisione».
Si riferisce alla tv commerciale?
«Anche al servizio pubblico che le fa il verso. Veniamo da un quarto di secolo di una tv che ha tarato il gusto degli italiani in modo che oggi possano digerire ciò che ieri sarebbe stato indigeribile. La colpa è certo dei palinsestisti e dei pubblicitari, ma soprattutto dei conniventi: gli spettatori. Lo spettatore è uno che col telecomando può votare ogni dieci secondi. Ha votato molto male».
Ma voi artisti non avete nessuna responsabilità per questo degrado culturale?
«Nello spettacolo racconto anche questo. Non ha senso che un artista dica, per esempio: ma io non seguo certe robe in tv. Perché quelle robe orrende ormai seguono te. Sono sottopelle nella gente che viene a teatro a vederti, nei ragazzi che vanno a scuola. È come dire: io non fumo, quando tutti ti fumano attorno».
La cultura come ricetta? E i tagli?
«Allora, prima della cultura vengono ospedali, giustizia, carceri. Però è becero dire che con Dante non si mangia. Perché l’economia è anche una questione di arte. Una volta molti amministratori delegati di grandi società erano anche poeti e filosofi... Se vuoi fare un mestiere alto, devi essere alto. Così come in parlamento: oggi ci sono solo avvocati. Per questo alla politica manca vastità di visione. E si è fermi agli interessi particolari».
E del 150° dell’Unità d’Italia, cosa dice?
«Che l’Italia non s’è ancora desta. Con la scusa che non è facile attingere alla sovrumana sfera dell’anima, finiamo tutti con l’essere troppo spettatori. Invece dobbiamo diventare attori. Non si può più delegare, bisogna scendere e scioperare quotidianamente nella propria piazza interiore. Se giustamente mi imbestialisco se Tanzi mi porta via i risparmi di una vita, devo arrabbiarmi anche contro chi mi porta via i risparmi neuronali, l’anima e la vita».
da Avvenire
Sottoscrivo integralmente.
RispondiEliminaGiorgio